domenica 7 febbraio 2010

TRE COLORI: FILM BLU - Krzysztof Kieślowski (1993)

Raramente la modernità mi colpisce così profondamente. Dilatare gli occhi sulla bellezza tremenda di questa poesia cinematografica è un' esperienza davvero irripetibile, sarete preda di un incontenibile temporale: dappertutto sentirete tuonare l'imperfetto del genio e una violenza iperbolica dell' idea agirà -ad un tratto- per esplosione, come se la grammatica emotiva di questo potente polacco riuscisse  d' improvviso a ingannarne la lucidità. Nel mondo di Kieslowski tutto ha una bellezza appena disperante, perfino gli errori. Lo stomaco indiscreto del regista, la vischiosità delle sue idee puntano la baionetta di continuo -lungo la linea più alta della rappresentazione- atteggiandosi a gran cecchini delle impossibilità clandestine, ma con pace tutta glaciale e furore cinicamente olimpico. Blu, Bianco, Rosso: un furto in quiete, laico, ellittico della bandiera francese, che solo un pazzo non amerebbe alla follia.
Il Blu/Libertà è uno spazio emotivo, una terra increspata di nevi durissime a cui neanche il cielo vuol concedere un' indecisa venatura d'azzurro. Forse è la prova più difficile da mettere in scena, perchè è così evocativa la rivoluzione di quest'accordo, così eroica la sua composizione, che chiunque penserebbe subito ad una prova corale, populista e romantica, come il bel dipinto di Delacroix: la donna col seno scoperto, il berretto frigio e il fucile scuro, che guida il popolo attraverso le barricate. In fin dei conti l'uomo è da sempre abituato a misurarsi con un' idea di libertà  che è schiettamente eroica, è la terra verso cui marciano i popoli, il tamburo delle rivoluzioni, il pane del quarto stato. Per questo Kieslowski è un poeta venerabile della cinepresa, e non mi stancherò mai di ripeterlo. Come un sarto o un modista lancia una moda, il regista confeziona per Julie uno splendido modello di libertà emotiva, attraverso l' abito luttuoso, il corpo minuto, bianco, ma di una magrezza autorevole e un nero bagliore negli occhi, che diviene il simbolo indiscusso della raccolta dei ricordi. Ci sono due condizioni che in una donna superano persino la propria identità: quella di madre e di moglie. Suonerà antiquato, ma tant'è: essendone convinta, non cercherò di convincere. Mi son fermata a guardare Julie, costretta ad aprire la porta a quel demonio paziente che è la solitudine: mi sembrava qualcosa di primitivo si rivoltasse nelle sue arterie  annerite dal pianto. Le lacrime correvano fino al mento come lo strumento affilato di un fabbro, a ricordarle -con una bella violenza- che ancora viveva.
C'è un tempo nella vita di tutti in cui si ha bisogno di essere nessuno: Julie deve lasciare la splendida casa di donna riuscita, i camerieri  in livrea e il giardino di gran classe, deve offrirsi ad un uomo brutalmente, per  rivelarsi qualcosa d'altro, nè madre nè moglie.
Echi del marito di Julie, un affascinante compositore, vi colpiscono ad un tratto per un tradimento: una bionda appesantita agitava i suoi candidi seni nel più santo degli adulterii. Ed ecco che -infaticabilmente- questo pazzo polacco ci viene incontro per assonanze: spartiti, musiche in-finite e  amanti glaciali ci turbano gli occhi; il dito sottile di Julie si muove sullo spartito, la carta si gonfia, vien fuori, e -d'un tratto- l'antica, sconosciuta sinfonia del defunto tiene caldo a questo cuore di donna, ne amplifica la bellezza e -persino- la pietà. Chi ama Kieslowski è sempre confuso dalla sua poesia cinematografica: dappertutto il blu vi investe, vi lava e vi libera, ma siamo in pieno campo laico. Già nel Decalogo ci aveva abituati al silenzioso, significativo simbolismo del liquido acquatico, ma qui diviene qualcosa di più facile e più evidente, qualcosa in cui immergere piedi e pensieri, per lasciarli navigare -come antichi pirati- verso una terra dalla quale non si è più in esilio.
Libertà è meritare di salvare la propria vita, meritare di salvare quel fiume sempre in piena che è l'amore, quel malinteso insostenibile che può permettersi di dire ogni cosa.
Santifichiamo  Krzysztof Kieślowski.
Sed omnia praeclara tam difficilia, quam rara sunt.
Michela

3 commenti:

Anonimo ha detto...

... E uno. Finalmente!
;)

Anonimo ha detto...

Ops...Ti ho citata senza mettere le virgolette...chiedo venia!

Alexandre FABBRI ha detto...

Kieslowski stava girando un solo film, tutta la sua vita, che continuava a migliorare ogni volta che lo ha fatto.