lunedì 7 settembre 2009

FERRO 3 - La casa vuota - Kim ki duk - 2003 - **** (Sproloquio di Michela)

Lasciatevelo dire: è quasi impossibile trovare di meglio che aprire una casa di Kim ki duk. Come un'orchestra che esegua alla perfezione i suoi ricchi accordi, in una voragine di spartiti muti, i suoni, le assenze e i colori si insinuano nel letto dei nostri pensieri. Resta da capire perché questa musica per sordi riesca a penetrare in un luogo così intimo dell'esistenza, e in una maniera così furtiva da restare inosservata, finché ti accorgi che sono giorni che ci stai pensando e ancora non possiedi le chiavi del film. Decine di rivoli d'acqua, simili a un groviglio di vipere luccicanti, si annidano facilmente nel legno macero di una casa acquatica, e allora devi capire che l'intero sistema del racconto, che noi tutti siamo abituati a decifrare in tre o quattro movimenti, qui non è che un paesaggio esotico. Le lettere non spiegano nulla, mai. Esse sono completamente mute. L'immagine non è più la rappresentazione visiva della parola, non ne vuol sapere di essere al suo servizio, tantomeno di risultare solo una specie di imbellettamento. Archiviata la lingua, che è artificiale, ci resta il linguaggio, che è naturale. Qui non siamo di fronte al quadro rosso vibrante di un perfetto colorista, e nemmeno abbiamo sotto gli occhi l'oscurità sanguigna di un Goya, ma una tela mobile, attraversata da simboli, con un'alterazione vitrea, con quel genere di movimento che mancherà sempre a un quadro di Raffaello. Il quadro di Kim ki Duk si trova in un luogo tanto intimo dei nostri pensieri, semplicemente perché è pervaso da un profondo intimismo, non da una qualsiasi "maniera" cinematografica. Siamo, insomma, nel sistema cerebrale di un uomo dotato di talento. Quest'uomo si serve di simboli, non astratti richiami, ma significati coerenti, e tutti vibranti in allitterazioni poetiche.
Veniamo al primo di essi: la casa. Un giovane uomo ci guarda silenzioso, entra furtivamente in una serie di abitazioni, nessuna di queste è la sua. Pensiamo bene, la prima cosa che fa é accendere la segreteria telefonica: dà un sonoro all'ambiente, una voce propria. Poi scatta delle foto accanto alle immagini degli uomini e delle donne che abitano la casa. Ora abbiamo dei volti. In rapida successione lava gli abiti che trova sgualciti o poggiati distrattamente da qualche parte, poi "ripara" le cose rotte. Ecco che abbiamo un corpo che indossa degli abiti, e ha persino dei difetti. La casa è una Persona, ha addirittura un carattere. Nella prima in cui entriamo c'è un bambino che spara con la sua pistola giocattolo ai genitori che litigano; la casa del pugile è -invece- segnata da una specie di spirito brutale: la prima immagine che ci si fa incontro è quella di uomo coi guantoni da box, che spinge il gancio verso lo spettatore con occhi diffidenti e carichi di sudore. E ancora il fotografo: una casa grigia, anch'essa in bianco e nero, come le foto e i nudi di estranei appesi alle sue pareti. Poi, ancora: il vecchio, disteso su un lato, col cranio rosso, che colora come una pittura anche il pavimento, intorno solo pochi oggetti, pareti nude e colori muti, una solitudine fatta di rughe. Il luogo in cui i due si scambiano il primo bacio è, al contrario, una casa ordinata, in cui abitano un uomo e una donna che sembra non facciano altro che prendersi cura dei fiori nell'acqua e dei bonsai, come a dire che quella stessa dedizione la dedicano l'uno all'altra. Qui l'anafora già suggerisce che si è in poesia. E' una gran brutta cosa vivere in un epoca in cui si pensa che il genio, più o meno, sia una specie di esaltazione onirica, in cui non esistano intimi legami densi di significato, ma solo incomprensibili effetti speciali. Se è vero che il più puro furore artistico viene giù come il rigurgito dell'onda e brulica come un cratere, lo è altrettanto che chi è colto da uno slancio simile si porta dietro i suoi soggetti per ore, giorni, ovunque. E' così che Tae-Suk è entrato nella "sua" casa vuota. 
Facciamo qualche passo indietro. C'è un giardino completamente verde, una sala magnifica, riccamente decorata, e un silenzio nuovo, ma più difficile da addomesticare. Il ragazzo fa le sue solite cose, scatta delle foto, lava gli abiti, è attratto da un libro di fotografie. Mentre fa il bagno lo sfoglia sott'acqua, vi è ritratta la donna che abita lì: è sempre nuda e ha una freddezza sessuale perturbante. E' in questo bagliore monotono che i due si incontrano per la prima volta: è notte, nessuno dorme, la donna col viso livido entra bruscamente nella stanza da letto e lui smette di "agitarsi" sotto le lenzuola. Quella donna così sottile nell'aspetto non possiede nulla, gli oggetti di lusso disseminati nelle camere in cui vive sono di suo marito, non le appartengono, non la rappresentano, quella casa è vuota. Aspetta qualcuno che venga ad aprire la porta.
Ferro 3: la mazza da golf meno usata in questo sport; Tae-Suk la porta con sè ovunque, strumento di gioco, difesa, aggressione, omicidio; è l'unica cosa che possiede, insieme a un cd con una musica triste e romantica. Cosa sappiamo di lui oltre a questo? Chissà quali pulsazioni si portano dietro le sue estasi mute, chissà se ha mai avuto una famiglia, degli amici. A noi il suo passato è precluso, non abbiamo chem frammenti di presente, in cui agisce senza una lingua: è per questo che il nostro flaneur del selciato è un enigma senza indizi, ed è così difficile da decifrare. Vuole essere invisibile, sceglie di non avere una dimora sua, un lavoro, una voce che lo rappresenti, che prenda delle responsabilità. Quando il poliziotto lo accusa di un omicidio che non ha commesso, persino allora, si fa battere e sta muto. E' un eroe, chino sulla sua schiena, pervaso da una forza d'animo quasi spirituale? -"Difenditi"- dice lo spettatore. E mentre l'osservatore distratto pensa tutte queste cose, quello che già sente di amare questo regista stupendo, ricorda che l'uomo non ha parlato neppure mezz'ora prima, quando il coraggio e la forza avrebbero suggerito di confessare quell'assassinio involontario. Era colpevole, allora. Dunque, assistiamo a una duplice tensione verso la morte: l'omicidio della donna, prima; l'amorevole sepoltura del vecchio, poi. In entrambe le situazioni stiamo a guardare un atteggiamento, un'attitudine di profondo silenzio, ma non dobbiamo dimenticare che quello che adesso ci sembra eroico, un momento fa era la ragione dell'omicida. Qui la poesia del film raggiunge uno dei suoi livelli più alti: in una cella di tre metri per tre assistiamo allo spettacolo indicibile dei suoi remi da gigante: le mani si muovono come timoni e il suo corpo può apparirci liberamente come una barca ondeggiante, può -con la leggerezza dei ragni- arrampicarsi su un muro senza appigli. Lì vediamo per la prima volta, e con chiarezza, quel ponte cerebrale che sta tra noi e il mondo: il sogno. Rinchiuso, farà niente più di quello che ha sempre fatto: Nascondersi, essere invisibile, muovendosi nei 180° preclusi allo sguardo. Non si esercita in questa cosa per fuggire alla guardia, come alcuni potrebbero pensare, tanto che -almeno in un occasione- è alle sue spalle e la porta è aperta. Il suo è un atteggiamento costituzionale: vuole essere invisibile. Ma cosa è che lo spinge? Si porta dietro una vergogna? Un rifiuto del presente persino esistenziale? Chi diavolo è? Noi non lo conosciamo perché lui ha negato di esistere, di avere un letto, degli abiti, dei quadri, delle foto, un qualsiasi ricordo che ci permetta di ancorare la barca incerta dei pensieri in qualche luogo dai rassicuranti fondali. E invece la poesia ha acque nere, luccicanti del blu più intenso, dei tramonti più sanguinari.Le sequenze finali sono tra le più memorabili che io abbia mai visto, c'è tutto: soggetto, musica, tensione, evento, e la funzione poetica, fatemelo dire, è di una perfezione che si avvicina al sublime. Nemmeno Shakespeare ha immaginato quel bacio!
Ultimo fotogramma: la bilancia, lo zero! Rimbaud diceva che un'opera, per avere un valore artistico, deve essere ambigua, avere -cioè- più di un significato. Dal momento che questo film è puro slancio psichico, è materia che scivola nei gangli cerebrali e ha l'inconsistenza dei sogni mi sembra coerente l'idea che insieme questi amanti non abbiano un peso, vale a dire due corpi fatti di grammi, e che -infine- insieme non esistano. Cos'è che succede? E' solo lei che sogna? E' pura forza psichica?
Zero: l'equilibrio. Si dice che se un uomo trova la donna giusta, insieme a lei sarà uguale a zero. Vale a dire: immaginiamo l'uomo come un segmento diminutivo che va da +100 a -100, immaginiamo ancora che questo segmento sia attraversato da una serie di onde di media e piccola lunghezza. Ora: queste onde si propagano distintamente sulle cifre, in positivo e in negativo, che attraversano la natura di una persona; si fermano su attitudini diverse, ora sull'ira, ora sulla libido, ora sulla tenerezza, ora sulla violenza; si determina così un luogo del segmento in cui si annidano il corpo e il carattere di quella persona. Ora, questo luogo, essendo fatto di dominanze, è sempre sbilanciato a sinistra o a destra della scala, anche nelle persone più miti. Ebbene, si dice che la persona in grado di rendere un'altra trasparente abbia in sè delle forze emotive talmente armoniose con l'altra, che siano in grado di portare qualsiasi innamorato allo Zero.
Chi non è in grado di capire i nostri silenzi, non capirà di certo le nostre parole.
Applausi!
Michela

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Commossa! Commossa dal tuo talento, dalle capacità di scrittura che hai, uniche!
Commossa perchè mi rendi trasparente, ricordo sempre una sera quando mi hai detto in villetta, credo, sulla panchina gelida, tanto tempo fà che io sapevo renderti trasparente perchè chi amo lo è. Quello che hai scritto sul film è meraviglioso, dimostra quanto ti ha appassionato, quanto tempo ci hai pensato camminando avanti e indietro sul pavimento di casa( ti vedo), quanto la sensibilità e l'idea del regista ti abbiano attraversata, quanto hai filtrato e trattenuto ogni singola immagine come una cellula che per osmosi fa entrare l'acqua, soprattutto che gran capacità possiedi nel rielaborare e trasmettere tutto sotto una meravigliosa lente di ingrandimento che fa appasionare i lettori e pensare. Trovo sia molto difficile soprattutto quando devi parlare di un film di un regista così fuori dalle righe ma a te riesce bene anche questo difficile compito, ti appartiene.
Molte sfumature non le avevo colte e molti dubbi mi sono stati svelati da te.
Per il resto la scena finale credo davvero sia catartica, la valanga di emozioni che seguono scorrono in seguenza rielaborando ogni scena perchè alla fine non puoi fare a meno di ripensare a ogni particolare che forse hai perso di vista ma..
non è quello l'importante!
Grazie, sei il mio Zero.
Tua.

Anonimo ha detto...

p.s. chi ama lo è.

Anonimo ha detto...

Tesoro,
mantieni sempre questa capacità che hai di raccontare i ricordi.
Sono cose nostre.
Non so che darei per un nuovo pomeriggio di cinema e gelato!
Ora aspetto "Primavera, estate, autunno, inverno...E ancora primavera".
Sto sulle spine!
Love you,
il tuo "0"

evaluna ha detto...

p.s.
Naturalemnte il complimento è relativo alla generale mediocrità del vostro blog e di altri.

evaluna ha detto...

A te voglio dire una cosa che per me non dovresti sottovalutare.
Premetto che non ho niente da dire sulla lezioncina che hai fatto su tutto il film, che hai sicuramente guardato con attenzione, prima e dopo. Quello che mi interessa dirti è che tu tendi continuamente alla bellezza. La ricerchi sempre fino ad ABBELLIRE ogni cosa, un film bruttino sotto le tue mani e i tuoi condizionamenti può diventare una grande opera. Risulti sempre credibile e questo è pericoloso, uno si fa trasportare dall'armonia delle parole, dalla coerenza degli argomenti e alla fine compra a peso d'oro un etto di salame. Sei totalemte incapace di fare una stroncatura, perchè non scegli un film o un libro che non ti sono piaciuti? NOn hai nessuna forma di sarcasmo, questo te lo spiegai al tempo suo, ma non ti è servito a niente.
Le cosa hanno anche un lato brutto, rassegnati.
Inteso che su Ferro 3 sei stata "illuminante", mi trovo d'accordo con Marchettini per il film di Carax, che prima o poi vedrò, per stroncarti a dovere.
Basta abbellimenti.