domenica 24 gennaio 2010

THE BIRDCAGE INN - Kim Ki Duk, 1998. (Sproloquio di Simona)

Mi piacerebbe conoscere quali dettagli riescano ad attirare l’attenzione di un “amplificatore di bellezza” come la mente di Kim Ki Duk.
Mi chiedo se ad innescare questo strumento di creazione sia un angolatura piuttosto che un colore, un tramonto o un alba, un profumo o uno sguardo, un dettaglio o forse un paesaggio, un sogno piuttosto che un incubo o se -invece- tutto nasca e si trasformi dal di dentro, passando dal cuore alla mente, fino agli occhi e agli arti.Mi piacerebbe scrutare questo genio nelle sue mura domestiche, nei suoi scaffali, nelle sue stoviglie, fino alla polvere dei suoi oggetti per trovare l’interruttore di tanta magia.
The Birdcage inn: due figure femminili al confronto ingabbiate in un sudicio hotel di una povera periferia industriale. Che sia una zona industriale credo di poterlo affermare dallo scenario che circonda, tutto intorno, l’angolo di spiaggia e di mare dove la telecamera spesso torna nei momenti di riposo. Fumi in lontananza e resti metallici in primo piano che non interrompono la poesia. Per un pesciolino rosso che muore, uno viene liberato in mare e questa volta c’è una tartaruga che riesce a sfuggire al calpestio sul cemento e ad arrivare fino al mare.Intorno ad un cortile dove entrano e escono degli sconosciuti KKd riesce a snodare con la sua pellicola un gran numero di eventi e contenuti. E’ il continuo movimento che genera tanta energia nelle sue immagini. Il suo occhio ricalca le sagome sociali più disparate, che incorniciano una società con i suoi modi e costumi. Non necessitano di una intera pellicola ma bastano poche inquadrature che rincorrono la trama. Ci sono tante scintille che si agitano e tutte insieme al termine dei suoi film ti infiammano, prendono fuoco e bruciano, lasciandoti il segno.
Intorno a queste due giovani donne c’è un film sull’amore, sull’inganno, sulla depravazione, sulla povertà sulle ambizioni, sulle delusioni, sulle similitudini degli opposti. In primo piano con la sua telecamera si addentra nelle più intime sfumature dell’animo femminile. Da un lato del cortile c’è la figlia del proprietario, una giovane universitaria, pudica, integerrima, dai tratti duri, dall’altra, nella porta di fronte ”La Sorellina” che lavora per la famiglia prostituendosi tutte le notti, custodita dalla sua bellezza frantumata. Quello che rappresenta Jane è esattamente tutto quello che condanna aspramente Hanj. Come si può mangiare tutti giorni dallo stesso piatto di una prostituta, quando questa rappresenta per la tua moralità l’espressione più sudicia di un degrado che ti circonda e ti soffoca? Soprattutto: come si può mangiare quel cibo comprato dal ricavato del corpo di Jane che ogni notte si dà ad un cliente diverso? Eppure il centro non è questo, al confronto non ci sono solo due donne che svolgono vite diverse, che hanno una sessualità diversa, ma ci sono due ragazze che vivono la stessa solitudine.Se Jane che di notte si dà, senza alcun turbamento, senza alcuna emozione, al cliente di turno, al mattino è sola e cerca una compagna. Il disprezzo, l’indifferenza di Hanj, la sua amicizia negata in malo modo sembrano pesare al mattino più delle notti perverse. Se Hanj studia, ha il suo fidanzato, esce piena di impegni, conduce una vita apparentemente normale, la durezza del suo giudizio la rende sola, la moralità verso la quale tende la imprigiona, la inganna.
Ma il momento paradosso non può mancare nella vita come nel cinema di KKd, ed arriva di notte quando nel cortile entra il fidanzato di Hanj che con la sua castità lo ha condotto nella porta di Jane. Eppure non è la storia del tradimento quella che viene raccontata, non è l’invidia per la bellezza di Jane, neppure la menzogna su quello che è successo quella notte con il suo fidanzato, tutto rientra nei particolari, ma la storia più bella è  quella del riconoscersi. Il mistero che avvolge la vita dell’altra viene svelato, fino a scoprire in Jane una ragazza come lei, con le sue mollette, i suoi divertimenti, i suoi dipinti, la passione per l’arte, le sue delicatezze. Fino a vedere nei suoi occhi gli occhi di un’amica, fino ad intrattenere il cliente di passaggio per farla riposare.
Ma la storia passa attraverso immagini bellissime, particolari che rimandano ad altri pensieri, colori tenui, scintille in movimento che si colgono, ma è impossibile ricostruirle, tentare di fermarle, si possono solo ammirare. Rendere romantico quell’angolo di spiaggia tra ruggine e sporcizia, trasformare un ammasso di ferro in mezzo al mare in un nido d’amore: dove riesce a volare l’uccellino quando si apre la gabbia  per fare finalmente l’amore dondolati dal vento di mare. Entrare in un sogno e renderlo così reale da diventare vero.
Entrare in porte diverse che alla fine affacciano alla stessa finestra.
E’ senza dubbio il film di Kim Ki Duk che mi sento più sulla pelle.
Simona

5 commenti:

eva ha detto...

Periodi sospesi, congiuntivi sbagliati, pure il nome del regista è scritto male!
Cioè, io non volevo più commentarti, ma non si può vedere, non puoi essere così approssimativa, metterci così poca cura a tempo.
Almeno l'italiano...

Valentina Luberto ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Valentina Luberto ha detto...

Parli di Kim Ki Duk, di questo film e delle protagoniste, come potrebbe dire una donna innamorata del suo amato.
Uno sguardo poetico, il tuo.


ps: complimenti per l'eccellente esposizione!

Cotone ha detto...

Grazie mille, ho visitato il tuo blog e trovo che sia fatto molto bene è veramente un piacere seguirti.
Buona domenica
Simona

Reid P ha detto...

God blesss