venerdì 17 settembre 2010

WAYWARD CLOUD - Tsae Ming Liang - 2005, (abc di Michela).



Bianchi, Pelosi e Corrotti. Gialli. Neri. Avvizziti. Seriosi o seri. Pallidi e morbidi come ceri accesi. Libidinosi, ariosi o pruriginosi. Casti. Assenti. Inerti. Attraenti, caldi, deformi, frigidi. Corpi che marciano, marciscono; corpi che parlano un linguaggio muto, ma esibito. Corpi che raccontano la storia del cervello che li abita. Quali colori preferisce, quanto mangia, quanto corre, quanto costano i suoi vestiti, quanto è stanco, arrabiato.  Quanti chilometri hanno percorso le sue scarpe. Quanta fatica hanno fatto le sue mani. Sono bianche, lunghe, docili o nervose. Il bianco è schivo, quello alto ti guarda con fiducia e ha una faccia da bravo ragazzo. C'è un modo di raccontarsi che è sempre primitivo, epidermico, e per questo passa attraverso i nostri arti, le inflessioni involontarie della voce, la ricerca di un minuscolo, veloce contatto.
Qualche volta, le nostre dita sono alla ricerca di qualcosa di urgente, di urtante; qualcosa che riveli i più insospettabili desideri d'amore.
Tsai Ming Liang è abituato a trattare il corpo con una fiducia e una confidenza che non ricordo in nessun altro regista. Nudi difettosi, autentici, orgasmi simulati, eiaculazioni meccaniche, rifiuti, profumi e masturbazioni croniche attraversano le sue pellicole senza obbrobri oculari. Ogni cosa è al suo posto, perfettamente coerente con le scelte narrative dell'Autore. In Wayward cloud, ignobilmente tradotto in Italia con Il gusto dell'anguria, questo linguaggio da cinema muto, questa sintesi carnale del rapporto d'amore vengono esibite -per contrappunto- nell'armonia guasta del linguaggio pornografico.
Taipei: c'è una strana atmosfera in città, geometrie del cemento, silenzio, un cielo bianco-latte, pronto a scurire, e alcune donne che si incrociano, ma son troppo distratte per essere indiscrete. Da qualche giorno la capitale di Taiwan è afflitta da una grave siccità. Al notiziario consigliano di bere succo d'anguria,  che è "economico" e dolcissimo. Una giovane donna ci viene incontro nell'interno (intimo) della sua casa: è piuttosto magra, indossa una camicetta bianca e cammina a piedi nudi. E' a suo agio. Si annoia. Rutta, beve, infila le dita nel succo di anguria. La scena è soltanto vagamente erotica, allusiva. 
Non c'è niente di allusivo, invece, nella materia iconografica del film: l' immagine che traina le locandine di Wayward cloud è l' amplesso (soltanto genialmente pornografico) con una succosa anguria, che sta tra le gambe divaricate di una giovane attrice. La penetrazione del frutto, a sostituzione dell' organo genitale femminile, a cui seguono gli spasimi e i godimenti dell' attrice, rivela più o meno insistentemente la solitudine che c'è nella finzione. L' uomo è stanco di tutte queste farse e con la donna che ama aborrisce la sua stessa corporeità. Non la tocca mai. Si tiene lontano. Il leitmotiv del film - l’assenza di acqua- è perfettamente coerente con i  suoi momenti simbolici:
Siccità→Aridità→Sterilità.

L’ acqua, che inumidisce la terra e la rende morbida, non è soltanto (cristianamente) il simbolo della purificazione. Già in Porfirio, per esempio, l’ aggettivo "umido" rinviava a qualche momento d’amore e di lì - malinconicamente- alla fertilità.
Nel lavoro di Ming Liang ogni cosa procede per sostituzione, rivelando che noi ci serviamo abitualmente di molti feticci. L’anguria non è solo un surrogato della vagina; si regalano “cocomeri” al posto dei fiori; la protagonista del film simula addiritttura il parto di un Feto/frutto sulle scale luride di un palazzo: sono solo surrogati, effimeri simboli. Questo è chiaro. Del resto, anche i fiori lo sono. 
La natura non si esprime mai attraverso la geometria. Quando sei in volo te ne accorgi bene. Non incontri linee finché non ti avvicini a qualche focolaio di uomini: anche a distanza dalle città puoi osservare il diligente lavoro della razza spelata. I campi si trasformano in rettangoli dai rigidi confini e le colture conferiscono ad ogni fazzoletto un certo colore. Abbiamo bisogno di qualche movimento brusco dei nostri corpi/contenitori, per liberarci -ogni tanto- delle apnee di cemento in cui inavvertitamente ci lasciamo cadere. Mi è sembrato di trovarne conferma nella scena della chiave, incastrata nella strada appena asfaltata. A fatica, Hsiao  riesce a sdradicarla per restituirla alla sua docile innamorata. Dal nero luccicante, ancora morbido del catrame vien fuori una piccola sorgente di acqua. E' il momento più naif e più fecondo del film, che scorre via silenziosamente, interrotto soltanto da alcuni splendidi momenti musicali. La sequenza finale è una delle riprese più aberranti e grandiose che abbia mai visto. Considerate che Tsae Ming Liang ha un gusto disturbato per le scene di lunga durata e vi troverete di fronte a un' autentico colpo allo stomaco. L' estremo a cui può arrivare il linguaggio pornografico: un amplesso con un corpo inerte, pesante, e telecamere buttate un po' ovunque tra i genitali del maschio e della femmina. Non basta.
Finale -letteralmente- strozza-fiato.


Citazioni memorabili

"Voglio ubriacarmi accanto a te, ma con me c'è solo la mezzaluna. Vorrei che la luna calante potesse illuminare dall' alto, con la sua parte nascosta, l' altra metà del tuo cuore, per non farti dimenticare il nostro sogno ormai passato".


6 commenti:

Eve ha detto...

Wow!
Noto che hai abbandonato anche tu qualcosa di vecchio!
Nuovo editing a quanto vedo...Certo che il blog è molto cambiato dall' inizio, era così dozzinale graficamente...Ora è quasi decente!
A parte questo, mia adorata, noto anche che hai provato a scrivere in una maniera più "accessibile", più leggera, forse. Probabilmente perchè la materia del film o le sue chiavi musicali lo richiedevano.
Incipit splendido, uno dei migliori. Mi è piaciuta un sacco questa storia dei corpi-contenitori e anche il modo in cui l' hai raccontata.
Nonostante tutto, questo blog è sempre uno dei più interessanti (aggiornato scarsamente, però!).
Ti saluto,
dovrò proprio rivederlo questo.
film...
EVE

Eraserhead ha detto...

Bell'incipit il tuo, anche se non credo di averlo Capito, e forse va bene così. E bello lo stile, rigonfio, a cascata, si "sente" che è "sentito".
Ho capito, invece, come penso abbia fatto tu, della grandezza di Tsai. C'è voluto del tempo, ci sono voluti un po' di film, ma una volta entrato nella sua Taipei mi sono felicemente smarrito. Forse il finale di questo film è la scintilla che mi ha fatto innamorare (parolone) di lui. Vedendolo, per un attimo non ho respirato...

cineastante.it ha detto...

Non è FACILE recensire un film di Tsai. Detto questo, le tue parole sono bellissime, profonde, perché si assumono la responsabilità di interpretare dei segnali, sei simboli, obliando la semplice descrizione del film, a favore di una sua più completa comprensione. Il film è del resto facilmente fraintendibile, errore in cui caddi anch'io all'epoca, quando questo regista stupendo era ancora un perfetto sconosciuto per me.
Bello il ritmo, a "cascata", è vero. Bello il movimento dell'analisi. Bello tutto.
I miei omaggi miss.

Anonimo ha detto...

complimenti michela, la descrizione delle geometrie naturali la trovo decisamente splendida e geniale, come tutto, sempre ammirata.
simona

Anonimo ha detto...

complimenti michela, la descrizione delle geometrie naturali la trovo decisamente splendida e geniale, come tutto, sempre ammirata.
simona

eve ha detto...

Più di un mese di assenza. Questo blog è il meno aggiornato della storia. Siete scandalose! Penose!