venerdì 12 novembre 2010

LENIGMA DI KASPAR HAUSER, Werner Herzog, 1974 ("A solo" di Michy)

"Io solo. Sento il mio cuore e conosco gli uomini. Oso credere di non essere fatto come nessuno di quanti ho conosciuto".
Sul panorama scheletrico del mondo:
un notturno, una torre, due forme oblique e le stelle assenti. La linea indecisa di una collina, le foglie afone di un albero cupo e la barba giudaica di un uomo vecchio: qualcosa di indefinito, di forte e flessibile doveva aprire l'ennesimo, incredibile (e difficile) film di Werner Herzog. Diciamolo subito: il linguaggio cinematografico del cineasta tedesco è quasi sempre molto alto, studiato attorno a una piccola gamma di toni, a volte anche  brillanti, ma più in generale controllati da una sobrietà addirittura ingannevole. Il rosso/bruno, il nero, il marrone, il verde scuro, il bianco dei cieli bavaresi: nel colorismo delle sue pellicole ogni cosa torna poeticamente al suo posto, scena contro scena, linea contro linea, ma sempre a distanza. Quello che mi fa davvero impazzire dei suoi film è che ogni evento è messo in scena con una lucidità straordinaria, solenne e ferma come una montagna. L'elemento patetico nell'esecuzione è praticamente epurato. Eppure, se Herzog predilige un soggetto è l'exclus, l'uomo sempre in esilio, il nano, il monco, il bagatto, il ritardato, l'impotente, il codardo anche. Insomma, gente che farebbe piangere anche un cuore più arido del Gobi. E ancora: se ha una predilezione per qualche attore è per la faccia alchemica, legnosa e quasi intagliata del grande Klaus Kinski. Non c'è niente di più formidabile delle entrate in scena di questo prodigio della mimica, dei suoi denti robusti e voluminosi, a un passo dal morso. Dicono che avesse due occhi mesmerici, che ti guardano con provocazione, mentre assumono tutte le declinazioni del giallo, l'acido che c'è nel giallo...
Se qualcuno mi dice che non è pazzo di Kinski allora vuol dire che è pazzo e basta! 
Ormai sono passati quasi due anni dalla mia prima visione di questo film, insieme a Simona, che si era presa la parte migliore del divano. Sui titoli di coda eravamo inebetite. Sarò sincera: ho avuto qualche serio problema con Bruno S. (l'attore che interpreta Kaspar). La sua bruttezza era troppo credibile e i suoi 16/18 anni lo erano troppo poco (aveva 41 anni quando girò il film). In più, i suoi occhi mi sembravano particolarmente incavati, ipnotizzati (più che ipnotici) e -in generale- le linee delle ciglia e della bocca gli davano un aspetto un tantino ottuso. Non mi piaceva neanche quella specie di zig zag anatomico che si portava dietro ovunque, quando parlava o camminava o suonava. Insomma, Bruno S. proprio non riuscivo a capirlo. Mi fu subito chiaro che il mio cervello aveva seri limiti. Werner Herzog aveva certamente le sue ragioni. Dovevo solo trovarle.
Per prima cosa scoprii che il signor Bruno S. (il milite ignoto del cinema) era stato rinchiuso per circa 23 anni in manicomio, poi un giorno gli dissero che era guarito e lo buttarono fuori di lì. Imparò a suonare, trovò lavoro in una vecchia acciaieria. Aveva anche smesso di parlare, per un periodo. Alfine, lessi da qualche parte che fu proprio Herzog a chiedergli di guardare sempre in un punto fisso, tanto che -nelle scene in interno- disegnava una grossa X sul punto che doveva fissare. Adoro l'inquadratura statica di questo regista: non ti dà mai le risposte che cerchi, ma ti fa fare sempre le giuste domande, e in più crea un'atmosfera un po' enigmatica, che mi piace molto. Kaspar è circondato da adulti, ma "comunica" davvero solo coi bambini. Sono i suoi simili, in qualche modo. Gli adulti hanno spesso bisogno di esaminare ogni cosa, di tenere sotto controllo il più lieve desiderio, la più piccola scossa: quel che c'è nello stomaco va guardato, rovesciato e decifrato come uno strano pasto. I bambini vivono di immediatezza. E' il gusto che ognuno ha per se stesso, prima di conoscere quella specie di dolorismo macabro che piace tanto alle persone sentimentali. Banalmente, scriverò anche che i bambini hanno dovere di tenere gli occhi sgranati, tanto non ci sembreranno degli idioti, perché sono troppo carini. Kaspar fu il primo caso di uomo auto-civilizzato, ma era troppo grande per essere "ammaestrato", per mettersi intorno al cuore quel telaio di mammasantissima da cui un uomo normale prenderà trame per tutta la vita. Logica, dogma e morale sono concetti praticamente impronunciabili per lui. Gli piace la musica, cerca di insegnare a un gattino a camminare su due zampe, come altri uomini hanno fatto con lui: quel che possiede passa solo attraverso il suo cranio. Nessun titillamento sociale, nessun gusto guasto dell'adornarsi. Il paesaggio interiore di Kaspar è come un deserto, in cui non esistono proprietà e in cui -anche solo per questo- si è sempre liberi. 
La prossima volta che passo vicino a una torre devo ricordarmi di dire che l'ha costruita un uomo molto grande...

8 commenti:

luca ha detto...

Michy,
sei una ragazza brillante, sempre moooooooooolto pretty, poco comune e molto abile con le parole...Ma questo film è una palla!!!
Io ero schiacciato sulla poltrona quando l'ho visto!
Dai...americanizzati anche tu!
Un po' di azione, brividi, amore sentimentale, qualche bacio...Cose che fanno sempre bene...

eve ha detto...
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Eve ha detto...
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Alfonso ha detto...

non sprechi una parola... se qualcosa non ti convince approfondisci fino a capirla meglio... adoro come parli di cinema e adoro le foto postate sul blog...

Anonimo ha detto...

Michy sei la mia ginestra.
Scusami.
M.

Eve ha detto...
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Luciano ha detto...

Anche questo un altro film che vedrei (se potesi) ogni giorno. Superfluo dire: meraviglioso, come bellissima è la tua recensione.

Cotone ha detto...

@Luciano:
..Sempre un onore..